Janare: storie di donne e persecuzioni.
Janare: storie di donne e persecuzioni.

Janare: storie di donne e persecuzioni.

“Mulier taceat in ecclesia”: con queste parole, nel I secolo d.C., San Paolo apostolo aveva contribuito a quel processo di estromissione della donna dalle questioni della Chiesa. Sarebbe stato conveniente, secondo il santo e – sulla sua scia – secondo altri teologi e filosofi dell’antichità, che le donne non si pronunciassero su questioni riguardanti la spiritualità, per una forma di rispetto e devozione. Tra chi credeva che le donne non avessero un’anima e chi promuoveva, con dubbi fondamenti scientifici, la loro inferiorità motivata dalla scarsa razionalità che le caratterizzerebbe, nel corso della storia la donna ha subito una condizione di subalternità.

Questa condizione di marginalità ha, in realtà, origini più antiche, ma la Chiesa ha contribuito ad accentuarla, dando adito allo sviluppo di credenze popolari e leggende che demonizzavano tale figura. In questo contesto si inserisce la figura della strega, personaggio dalle origini antichissime, molto presente nella letteratura classica, dove opera riti di richiamo o magia nera. Esempio emblematico è la figura di Medea, la strega barbara della Colchide, tradita da Giasone e per questo assetata di vendetta al punto di arrivare ad uccidere i suoi stessi figli: in questa figura sono condensati gli elementi della femminilità irrazionale e la xenofobia.

Nelle leggende popolari locali e in generale dell’Italia meridionale si inserisce la figura della janara o gianara, strega che popolava i racconti legati al mondo contadino. Il nome potrebbe derivare da Dianara, cioè sacerdotessa di Diana, o da Ianus, dio dal duplice volto oppure ancora da ianua, in latino porta. Le streghe assediavano, infatti, le porte delle case per introdurvisi dolosamente di notte, procurando infecondità e aborti, o uccidendo gli infanti che venivano utilizzati per riti occulti. Ma le janare non erano personaggi fantastici ed eterei che dal nulla comparivano di notte per perpetrare il male, erano invece delle donne comuni, molto spesso esperte nell’utilizzo di erbe con le quali realizzavano pozioni magiche che potevano essere curative o nefaste.

La leggenda vuole che le streghe si intrufolassero nelle stalle dei cavalli durante la notte, dove cavalcavano le giumente fino a sfinirle. Le cavalle non sopportando lo sforzo spesso morivano di fatica: segno del loro passaggio erano le treccealle criniere degli animali. Per evitare ciò, secondo la tradizione popolare, si doveva collocare una scopa o un sacco di sale davanti alle porte delle stalle o delle abitazioni: la janara in tal modo non avrebbe resistito all’istinto di contare i fili della scopa o i granelli di sale e una volta giunto il giorno sarebbe dovuta fuggire prima di compiere il misfatto.

Ciò che si nasconde dietro queste credenze legate al mondo rurale ha, naturalmente, motivazioni sociali e culturali. La diffusione di questi racconti tra i contadini e le persone più povere era utile ad esorcizzare la paura e ad offrire dei rimedi popolari contro quelli che rappresentavano per una società rurale i più gravi lutti: la morte degli animali che erano indispensabili per l’agricoltura e rappresentavano l’unica proprietà e la morte dei figli a causa di malnutrizione e malattie. Nonostante le chiare motivazioni della diffusione di questi racconti, tali credenze hanno contribuito alla marginalizzazione della figura della donna, al sospetto nei suoi confronti e alla sua persecuzione.

Ancora oggi esistono riti che vengono tramandati nelle famiglie dalle donne più anziane, come il Malocchio, insegnato alle ragazze di casa durante la notte di Natale.

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